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La riforma delle pensioni non piace agli italiani

L’APE (Anticipo Pensionistico), il nodo centrale della riforma, è molto criticata.

Piace poco, perché i lavoratori dovranno stipulare una sorta di prestito ventennale con le banche per poter uscire 3 anni e 7 mesi prima dal lavoro, ma non prima di 63 anni e in aggiunta, dovranno pagare un premio assicurativo.

Facciamo alcuni esempi presi da una recente stima fatta da Federcosumatori:

per chi percepisce 2000 euro lordi mensili di pensione ed intende andare in pensione un anno prima, la rata mensile sarà più o meno, ad un tasso del 3%, di 144,20 euro.

Per chi vorrà anticipare l’uscita a 2 anni il costo mensile della rata sarà di 288,30 euro. Coloro che, invece, avranno diritto ad una pensione lorda di 1500 euro, dovranno pagare una rata di 108,15 al mese per 20 anni se ci si accontenterà di uscire un anno prima, mentre per coloro che vorranno anticipare la pensione almeno 2 anni prima, la rata salirà a 216,29 euro, sempre per 20 anni.

In un Paese dove le pensioni sono già le più basse d’Europa e dove l’alto tasso di povertà è diventato una costante, queste cifre diventano paradossali e non certo incentivanti affinché qualcuno possa pensare di anticipare la propria pensione e tanto più, parlando di un prestito, si fa fatica a credere che questa riforma possa aiutare l’economia a crescere.

Un’analisi comparativa del 2015 del Servizio Studi della Camera Dei Deputati tra i regimi pensionistici nei principali paesi d’Europa, ha evidenziato la grande anomalia italiana. Sarà utile sapere che, questa forma di pensione non esiste in: Danimarca, Finlandia, Irlanda, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia, mentre i paesi dove i requisiti sono più stringenti dell’Italia o che hanno, almeno per una delle categorie di pensionati, un requisito di accesso attualmente più alto di quello italiano sono:

Germania: 67 anni o 65 anni con 45 anni di contributi;

Francia: regime graduale, a 67 anni per chi è nato dopo il 1955;

Svezia: da 61 anni a 67 anni, con la possibilità di restare al lavoro con il consenso del datore;

Norvegia: si va dai 62 anni 75 anni;

Spagna: 65 anni con 35 anni e 6 mesi di contributi o 65 anni e 2 mesi con meno contributi;

Grecia: per gli uomini 67 anni (bastano però 15 anni di contributi) e per le donne 62 anni, che però devono avere 40 anni di contributi;

Islanda: dai 65 ai 70 anni, la pensione nazionale si raggiunge a 67 anni;

Finlandia: dai 63 ai 68 anni a seconda dei guadagni, con pensione nazionale a 65 anni;

Lussemburgo: 65 anni per tutti;

Danimarca: 65 anni;

Cipro: 65 anni per tutti, 63 per i minatori;

Malta: 65 anni per tutti i nati dopo l’1 gennaio 1962, per i più anziani dai 60 ai 64 anni;

Olanda: 65 anni e 2 mesi;

Portogallo: 66 anni;

Slovenia: 65 anni per tutti.

Tutti gli altri paesi (Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Estonia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Svizzera, Ungheria) hanno invece sistemi che prevedono requisiti meno stringenti dell’Italia per andare in pensione.

Tutto questo fino ad oggi, ma quando la riforma Fornero andrà a pieno regime, nel 2050, l’Italia diventerà, in assoluto, il paese in cui si va in pensione più tardi, a quasi 70 anni.

Fonte: http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/LA0465.Pdf