Francesco Roncone, Segretario regionale FAP Acli: in un Veneto per vecchi Vicenza è la meno “anziana”
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Di Redazione VicenzaPiù |
Riceviamo e pubblichiamo l’intervista a Francesco Roncone, Segretario regionale della Federazione Anziani e Pensionati delle Acli del Veneto a cura della redazione FAP Acli.
Il rapporto Noi Italia 2016 “100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, delinea il quadro di un Veneto per vecchi. Anche nel Veneto sono sempre meno matrimoni e figli e scende la speranza di vita.
Già, meno bambini e più anziani. l’indice di vecchiaia per il Veneto nel 2016, il rapporto percentuale tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei giovani fino ai 14 anni, dice che ci sono 159,2 anziani ogni 100 giovani. La provincia con più anziani è Rovigo, dove l’età media si attesta su 46 anni e la più giovane, ma è solo un eufemismo, Vicenza con 43 anni di media. È anche questo il risultato di una crisi che, benché se ne dica, continua a mordere le giovani coppie, che si battono per mantenere uno standard di vita dignitoso e sostenibile e malgrado la loro buona volontà, non ci riescono. Il lavoro è sempre più precario anche nel nostro non più ricco Nord-Est e gli stipendi sempre più bassi e incerti. In uno Stato che non riesce a dare risposte concrete, come possono pensare di aumentare la famiglia?
Molti giovani Veneti non studiano e non lavorano e restano a casa dei genitori altri espatriano.
Già, teoricamente, oggi nel Veneto ci sono 55,8 individui a carico, ogni 100 che lavorano. Accade, quindi, sempre più spesso, di dover chiedere aiuto all’anziano genitore, che diventa così il vero ammortizzatore sociale della famiglia, anche se, magari, titolare di una pensione che spesso non raggiunge le 1000 euro mensili.
Secondo i dati amministrativi i giovani disoccupati dai 15 ai 29 anni risultano essere 89.000; i disoccupati dai 30 ai 54 anni risultano essere 275.000 mentre i disoccupati dai 55 ai 64 anni sono 80.000. Una situazione intollerabile. L’indigenza di queste persone, alimenta quel senso di frustrazione e di sofferenza che cancella, non solo nei giovani ma in tutta la famiglia, progetti, sogni e futuro e un Paese senza futuro è un Paese in fin di vita che neanche un accanimento terapeutico potrà salvare. Non è più procrastinabile una radicale riformulazione delle ragioni fondanti della “Cosa Pubblica”, sia esse culturali, economiche, finanziarie, istituzionali e politiche altrimenti non vedo come se ne possa uscire.
Il risultato del referendum in Inghilterra che incidenza potrà avere sul già difficile condizione economica dei pensionati veneti?
È troppo presto per avere qualche certezza su cosa effettivamente accadrà. L’uscita dell’Inghilterra dall’Europa non certo ci aiuta, perché rischia di acuire una crisi già pesantemente in atto nel Veneto e non solo e mette a serio rischio 3,5 miliardi di esportazioni annue. L’Inghilterra è un mercato in piena espansione. Negli ultimi dodici mesi sono stati esportati dal Veneto al Regno Unito beni e servizi per 3.460 milioni di euro. In un sistema pensionistico con meccanismo redistributivo come il nostro, ulteriori perdite di posti di lavoro metterebbe in seria crisi il nostro Ente Previdenziale già in affanno.
La BREXIT è frutto di concause ovvie e conosciute. La Gran Bretagna è sempre stata diversa da tutta l’Europa, è un paese transatlantico lontano dalla nostra cultura. Un deficit di rappresentanza, una inesistente coesione tra i paesi dell’Unione nella gestione della crisi finanziaria e umanitaria di questo ultimo anno e una insensata austerity, che ha soffocato il ceto medio e ha messo alla canna del gas i più deboli, anziani e pensionati, risvegliando in loro sentimenti nazionalisti e di autodifesa, hanno giocato un ruolo determinante nell’esito del referendum. Ora il problema principale diventa rinegoziare i rapporti commerciali tra l’UE e il Regno Unito, altrimenti gli scambi commerciali incontreranno difficoltà, e la ricaduta sull’economia e occupazione, specialmente nel nostro Veneto, primo esportatore di vini, spumanti e prodotti agroalimentari, sarebbe pesante. Ovviamente, per quanto mi riguarda, la paura è che alla fine della fiera saranno sempre i più deboli, anziani e pensionati, a pagare le conseguenze.
Però tutti gli indicatori vedono una luce in fondo al tunnel
È vero, secondo l’ultimo rapporto sulla situazione finanziaria del nostro Paese, reso noto dalla Banca d’Italia, vi sono alcuni segnali favorevoli per l’economia italiana.
Ma la ripresa non può essere strutturale. Difficilmente quella luce sarà vista da tutti. Voglio ricordare che solo nel ricco Veneto circa 125mila famiglie vivono ancora in povertà assoluta. Qui da voi a Verona 5500 famiglie sono povere assolute. 300 uomini e donne, nella sola città di Padova vivono in strada, estate e inverno, soli o con la famiglia al completo ridotta a dormire in automobile. Il 40 per cento di italiani lo scorso anno non si sono curati perché anche la salute costa. Tuttavia, finché ci saranno quasi sei milioni di pensionati INPS che percepiscono un assegno mensile inferiore a mille euro e quasi 1.700.000 meno di cinquecento euro quella luce non potrà durare.
Serve un radicale cambiamento nelle politiche sociali e un nuovo approccio da parte della politica, tutta. Una politica meno autoreferenziale e più altruista. Una virtù, quest’ultima, ancora molto rara.