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«Una delle priorità sociali che la politica dovrebbe discutere è l’aumento esponenziale dei livelli di povertà, che colpisce soprattutto gli anziani. I numeri parlano chiaro: i pensionati in Veneto sono quasi 1,3 milioni e nel Veronese poco più di 221mila, di cui oltre il 75%, circa 170mila, con un reddito lordo fra 8 e 24mila euro l’anno». Questa la nitida polaroid fatta da Francesco Roncone, segretario regionale della Fap Acli del Veneto, che concentra la propria attenzione in particolare sul sociale nella provincia scaligera.

– Com’è la situazione in Veneto e nel Veronese in particolare?

«In Veneto le pensioni sono basse e gli incapienti, coloro i quali hanno un reddito inferiore agli 8mila euro l’anno, sono circa 350mila, senza contare che circa 300mila pensioni sono integrate al minimo (502,39 euro al mese), 60mila nella sola provincia di Verona, dove sono circa 2900 le pensioni di inabilità e 300 i titolari delle nuove pensioni di invalidità liquidate con il sistema contributivo introdotto dalla legge Dini del 1995, per un importo medio di 173 euro mensili».

– Le Acli cosa stanno facendo per queste persone?

«La Federazione anziani e pensionati delle Acli, nei mesi scorsi ha presentato a diversi parlamentari, anche veronesi, ed ai presidenti della Camera e del Senato una proposta di legge per introdurre, a carico del sistema previdenziale, un’integrazione al minimo vitale nei casi di pensione di inabilità di importo inferiore. Parliamo di soggetti che hanno versato i contributi, a cui la legge Dini ha abrogato il diritto all’integrazione al trattamento minimo e che versano ora in condizioni di povertà assoluta».

Il prezzo più alto chi lo paga?

«Le donne, oltre ad essere più sole, si ritrovano più povere, in quanto le anziane di oggi appartengono ad una generazione che raramente ha lavorato fuori dalle mura di casa. Il 60% dell’ultima retribuzione del defunto prevista per il coniuge superstite è diventato un trattamento pensionistico da fame, specie se pensiamo che solo nel comune di Verona le pensioni ai superstiti sono 17mila”.

– Cosa si può fare nel concreto?

«Le Acli da tempo ribadiscono l’opportunità di introdurre un’imposta patrimoniale solidale sui redditi più alti, che non producono lavoro. Sarebbe una misura funzionale con effetti di riduzione del debito pubblico e sullo sviluppo dell’economia e dei consumi. A questo si aggiunge il fatto che potrebbero essere redistribuite le accompagnatorie erogate a chi percepisce già un reddito di tutto rispetto. Nel contempo è necessario innalzare la No tax area per gli anziani, ferma ad 8.175 euro, e le detrazioni per il coniuge a carico, ferme a 62 euro mensili e decrescenti all’aumentare del reddito».

– Le strutture pubbliche funzionano?

«Chiediamo alla Regione di procedere ad una riforma delle Ipab, per trasformarle in Aziende pubbliche di servizi per le persone, cioè in Istituzioni di diritto pubblico. La piena valorizzazione delle Ipab, ben 22 nel Veronese, potrà avvenire con la loro integrazione e partecipazione ai servizi erogati dai Comuni e dalle Ulss, a sostegno dei servizi domiciliari, in raccordo con il Piano sociosanitario regionale, una buona legge che non trova pratica attuazione».

– Resta il problema dei non autosufficienti…

«Per i non autosufficienti la risposta non dev’essere limitata al Piano sanitario, ma integrata con elementi più tipicamente sociali. La domiciliarità è insufficiente e le famiglie devono pagare quote assurde per il ricovero dei loro anziani. In Veneto ci sono 135mila anziani non autosufficienti ed il fondo per la non autosufficienza nel 2015 è stato di 748.903.450 euro. Benché aumentati di 55 milioni, sono ancora insufficienti e dovrebbero essere integrati con i risparmi derivanti dalla diminuzione dei posti letto ospedalieri e dalla riduzione del numero delle Ulss».M.C.

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